“I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.”
“L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.”
L’anarchico conservatore Giuseppe Prezzolini lo aveva già capito e messo per iscritto nel 1921. La formula è ancora valida. In Italia se non sei furbo, sei fesso. Oggi come ieri, oggi più di ieri. Un autodidatta che non volle conseguire neanche il diploma liceale, Prezzolini, profondamente disgustato dal malcostume italiano e dalla cialtroneria delle classi borghesi, dal cicaleccio inutile dell’opinione pubblica e dall’endemica corruzione politica, negli anni venti decise di emigrare in America.
Se ne andò sventolando il cappello, dopo aver avvisato i connazionali della buffonata che sarebbe stata l’epoca fascista. Negli Stati Uniti conquistò con merito (quindi senza concorso statale-burocratico) una cattedra da docente universitario alla Columbia University di New York e terminò i suoi giorni nella neutrale Svizzera, luogo dove superati i novant’anni continuava lucido e prolifico a dedicarsi alla scrittura.
Riportiamo quanto scrive l’autore del “Codice della vita italiana” e del “Manifesto dei conservatori” a proposito dei furbi e dei fessi: “Non c’è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia, non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella Pubblica Istruzione ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all’agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. questi è un fesso”. Il fondatore de <<La Voce>> ammoniva: “non bisogna confondere il furbo con l’intelligente. L’intelligente è spesso un fesso anche lui”. E aggiungeva: “Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandar via i furbi. Ma non possono: 1) perché sono fessi; 2) perché gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono”. Inoltre cento anni fa notava che “l’Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno”.
Proviamo ora a definire chi sono i furbi e chi sono i fessi nell’Italia di oggi. È certamente furbo chi si impegna ogni giorno a rivendicare diritti e se ne infischia dei doveri; lo è chi costruisce la propria posizione di potere o lavorativa approfittando dei privilegi che il sistema corporativo gli garantisce in quanto membro di congrega. Il corporativismo ha radici preistoriche e antimoderne perché presuppone la divisione tribale della società e il suo esito non può che essere la guerra tra bande legalizzate di criminali per contendersi il dominio a danno delle bande rivali e della popolazione indifesa. È certamente furbo chi sfrutta l’amicizia, la conoscenza, la raccomandazione o, peggio, il trucco e l’imbroglio per ottenere un posto immeritato a scapito di altri. È furbo chi per ottenere un favore ricorre agli espedienti opportunistici più esecrabili; lo è chi per raggiungere uno scopo calpesta le proprie convinzioni morali. È furbo chi pretende di vivere a spese di altri e vi riesce per legge o contro legge.
È invece certamente fesso chi concepisce i diritti alla maniera mazziniana, cioè solo come conseguenza dell’adempimento dei doveri; lo è chi nella quotidianità si impegna e lotta per ottenere un guadagno commisurato alle proprie capacità; lo è chi crede alla sacralità di una parola data. È fesso l’italiano che si lascia tartassare da uno Stato ladro e spendaccione, l’italiano che continua ad alimentare la vorace Bestia Statale senza opporre resistenza, l’italiano che pagando le tasse fino all’ultimo centesimo finanzia i servizi pubblici anche a chi furbescamente evade. L’italiano fesso è quello che si assume, senza insorgere, l’onere di retribuire redditi assistenziali non guadagnati attraverso il lavoro; è quello che consegna miliardi e miliardi di spesa pubblica nelle mani di una oppressiva élite statal-socialista costituita da politici di infima moralità e da potenti burocrati tanto titolati quanto incapaci, i quali farebbero fallire anche la più piccola bottega di paese e perciò scelgono furbamente di vivere da parassiti alle spalle di quella economia produttiva su cui non perdono occasione di sputare la loro spocchiosa arroganza in quanto considerano sporco e inferiore quel popolo grasso e quel popolo minuto dal cui lavoro nasce il benessere generale.
Ma Prezzolini ci suggerisce una via d’uscita: “Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi”. Abbattere la stupidità, oltre che l’ignoranza, per mezzo della cultura; ma quale cultura? Ovviamente non la sottocultura statalista figlia dell’alfabetizzazione di massa acritica e dell’omologazione educativa, celata sotto la pantomima dell’autonomia scolastica, imposta dal Ministero della Pubblica Istruzione.
A proposito del carattere degli stupidi nel divertente e provocatorio “Le leggi fondamentali della stupidità umana” lo storico dell’economia Carlo Maria Cipolla definisce con chiarezza lo stupido come il soggetto che reca danno agli altri senza procurare alcun vantaggio a sé stesso. In un Paese dove tendono a prevalere gli stupidi del genere indicato da Cipolla distruzione sociale ed impoverimento economico sono alle porte. Questa la missione assegnata ai fessi intelligenti: ostacolare la moltiplicazione degli stupidi per evitare preventivamente i pericoli derivanti dalla prezzoliniana divisione tra furbi e fessi, la quale, come ha suggerito il liberista lincèo Sergio Ricossa nel suo “Manuale di sopravvivenza a uso degli italiani onesti”, altro non è che la divisione tra disonesti e onesti. Per il Paese in cui i furbi, ovvero i disonesti, continueranno ad avere la meglio sui fessi, ovvero sugli onesti, non vi sarà altro che irrimediabile decadenza.
Quirino De Rienzo
Bravissimo Quirino. Preparazione È ottime rifkessioni. Poi la scrittura è di quelle che veramente piacciono. Complimenti e bravo