Fu artista dalle magnifiche virtù umane Raffaello Sanzio da Urbino. La sua natura gentile, la sua cortesia, la sua grazia le ereditò dall’educazione familiare. Nato nel 1483, dalla madre allevato con dolcezza e dal padre Giovanni Santi iniziato alla pittura, si ritrovò ben presto ad essere fanciullo dagli ottimi costumi e dal raffinato genio artistico. Notata la spiccata vocazione per l’arte, il padre Giovanni, modesto pittore urbinate, lo inserì alle dipendenze di Pietro Perugino. La sorte gli riservò poco tempo per gli affetti familiari, i genitori morirono quando Raffaello non si poteva ancora dire uomo. Dal Perugino, il quale ebbe maniera di ammirare per primo le doti pittoriche del giovane, imparò, imitando i dipinti originali, a tal punto che divenne presto impossibile riconoscere le opere dell’allievo e separarle da quelle del maestro.

Con lo Sposalizio della Vergine Raffaello aveva superato il Perugino nella prospettiva e nei colori, dischiudendosi la strada a nuovi traguardi. Il trasferimento a Firenze rimane cruciale; lì incontrerà il genio di Leonardo da Vinci e avrà il modo di confrontarsi nell’ambiente artistico più fiorente del tempo. Oltre allo studio di Masaccio, osservò i lavori di Michelangelo Buonarroti e di Leonardo, che gli servirono per migliorare ed accrescere la propria arte. Il contesto fiorentino era ammirabile per la concorrenza e per le invidie che v’erano, spingendo gli uomini politici, gli uomini di scienza, gli uomini d’affari e gli artisti alla necessità di doversi superare gli uni con gli altri.
Bramante, essendo al servizio di Giulio II, lo convinse a lasciare Firenze per recarsi a Roma, dove il papa aveva intenzione di affidargli i lavori di affresco di alcune stanze. Raffaello cominciò dipingendo nella Stanza della Segnatura una storia che ritrae i grandi saggi del mondo, lasciando ai posteri una delle opere d’arte più famose, la Scuola di Atene, nella quale volle omaggiare anche l’amico rivale, l’oscuro e introverso Michelangelo, ritraendolo nelle vesti del filosofo presocratico Eraclito. Ben presto acquistò gran fama nella Roma cinquecentesca, non avendo tuttavia mostrato del tutto l’immensa grandezza artistica che di lì a poco lo avrebbe reso eterno. Il Vasari racconta che Bramante, trovandosi in possesso della chiave della Cappella Sistina mentre Michelangelo soggiornava a Firenze, per l’amicizia che lo legava la consegnò a Raffaello, concedendogli l’occasione di comprendere le tecniche ed i modi di lavorare del Buonarroti. Da quel momento migliorò oltremisura la sua arte, che divenne maestosa.
Con la Liberazione di San Pietro Raffaello ha realizzato il più bel notturno della storia: le ombre, i riflessi, le luci impressionano per naturalezza e realismo. Il Vasari, a proposito della notte dipinta dall’Urbinate, scrisse: «questa è la più divina e da tutti tenuta la più rara». Si dovrà aspettare Caravaggio per rivedere qualcosa di simile. Delle Logge di Raffaello dentro il Palazzo Apostolico l’illustre umanista Baldassare Castiglione ebbe a dire che esse erano la più bella opera realizzata dai moderni fino a quel momento. Fu autore di molti ritratti, tra cui due famosi aventi come committenti altrettanti papi: il ritratto di Giulio II e quello di Leone X. Tra i capolavori consegnati alla storia dell’arte un posto particolare meritano i dipinti delle Madonne. La Madonna del Cardellino, nella quale, sotto lo sguardo protettivo della Vergine, il piccolo San Giovanni porge a Gesù un cardellino, simboleggiando l’annuncio del sacrificio a cui andrà incontro, rimane tra le più significative raffigurazioni cristiane.
Dipinse innumerevoli figure femminili. Era Raffaello persona sensibile al richiamo del gentil sesso. Ritrasse e amò molte donne, motivo per il quale godeva di sommo rispetto da parte dei suoi amici. E di amici ne aveva di ogni rango ed estrazione sociale: cardinali, nobili, banchieri, mercanti, artisti, dotti, garzoni e gente del popolo. Se molte donne amò, di una sola s’innamorò a lungo e molte volte la ritrasse, probabilmente una giovane popolana di nome Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere. Il che, si racconta, costrinse l’amico mercante senese Agostino Chigi, che gli aveva commissionato di dipingere nel suo palazzo romano la prima loggia, ad acconsentire alla presenza dell’amata, cosicché Raffaello, il quale non riusciva a staccarsi da lei, portasse a termine il lavoro, che fu in tal modo finito.
LE OPERE DI RAFFAELLO (video)
Aveva l’Urbinate stretta amicizia con il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, il quale, dopo averlo rimproverato più volte per essere rimasto celibe, lo invitava continuamente a trovarsi una moglie e a coniugarsi, fino al punto che dovette accettare per donna la nipote del porporato stesso. Raffaello, dopo aver servito il papa per molti anni ed essendo creditore di buona somma, avendo sentore della possibilità di esser nominato cardinale da Leone X in ricompensa delle sue fatiche e delle sue virtù, portava il cardinal Bibbiena per le lunghe. E nel frattempo, essendo incline ai diletti carnali e non potendovi rinunciare, continuò di nascosto a soddisfarsi con i piaceri amorosi fin quando non fu colto da una febbre che si rivelò fatale.
La ricostruzione del Vasari, ancora la più accreditata, entra in contrasto con altre due ipotesi che fanno della morte di Raffaello un mistero irrisolto: l’avvelenamento, causato dall’invidiosa rivalità artistica, e la malaria, endemica nella Roma del tempo. Prima di posare il pennello per l’ultima volta, si racconta, strinse a sé il Cristo da lui dipinto sulla tavola della Trasfigurazione di Cristo, come a voler mostrare il valore dell’arte. Dopodiché, ormai sfinito e ridotto a letto, morì a trentasette anni il Venerdì Santo dell’anno 1520.
Era affabile, d’animo proclive all’aiuto. Dispensava continuamente consigli ai suoi allievi, con i quali lavorava in perfetta armonia. Aveva splendide virtù umane, accompagnate da una grazia talmente infinita da renderlo divino. Brillava per studio, bellezza, modestia e buoni costumi; non lo sfioravano le ombre dei vizi che appaiono sovente negli artisti. Era limpido e gentile, a differenza dell’oscuro e irascibile Michelangelo, del quale ebbe sempre profonda ammirazione, riconoscendone la grandezza. Ne “Le Vite” Giorgio Vasari diede di lui la seguente definizione: «che invero noi abbiamo per lui l’arte, i colori e la invenzione unitamente ridotti a quella fine e perfezzione che appena si poteva sperare, nè di passar lui già mai si pensi spirito alcuno». Ebbe una committenza ampia per la prodigalità di papi e cardinali, di nobili e mercanti.
L’epitaffio composto per l’Urbinate da Pietro Bembo recita: «da lui, quando visse, Madre Natura temette d’essere vinta e, ora che egli è morto, teme di morire con lui». Parole più belle non potevano trovarsi. Fu geniale e umile Raffaello Sanzio, l’artista divino.
Quirino De Rienzo
Articolo spettacolare, omaggio al genio dei geni: Raffaello Sanzio. Bellissimo anche il video che mostra le sue opere uniche e inestimabili di fronte alle quali si rimane abbagliati e inebriati da cotanta bellezza. Sono fiera che l’Italia abbia dato i natali a un artista unico al mondo come Raffaello Sanzio e dopo aver letto questo articolo che parla di arte sono fiera di essere italiana.