Può esistere un mondo senza economia? Su questa domanda si sono interrogati economisti di ogni epoca e nazione. L’interrogativo si dimostra ancor più intrigante in considerazione delle teorie economiche di Marx e di Keynes. Il filosofo tedesco non era assai stimato dall’economista britannico. Entrambi, però, appartenevano alla categoria dei perfettisti. L’uno denunciò le storture ed i presunti vizi del capitalismo, preconizzando la fine del modello di sviluppo dominante e teorizzando l’avvento del comunismo quale nuova età dell’oro. L’altro fu più sottile e meno esplicito, proponendosi come riformatore del capitalismo e riuscendo a far passare in secondo piano il fine ultimo: l’abolizione dell’economia; o meglio, per dirla con Ricossa, “la fine integrale e perpetua di qualunque tipo di economia”. In sostanza, con Marx e con Keynes siamo di fronte a un grandioso traguardo comune da raggiungere con mezzi differenti. Essi si propongono di realizzare il paradiso terrestre per gradi. E per paradiso terrestre s’intende essenzialmente liberare gli uomini dalle infernali catene dell’economia, in sintonia con la concezione signorile che definisce il lavoro come condizione servile dell’uomo; concezione signorile di matrice classica e feudale, quindi per tradizione molto radicata nella cultura europea.
L’idea che il capitalismo (e più in generale qualsiasi modello economico) rappresenti soltanto una fase storica inevitabile di passaggio appare evidente.
In “Esortazioni e profezie” Keynes ritiene che il problema economico non abbia carattere permanente ma temporaneo; quindi l’interregno capitalista è necessario fino a quando il “vecchio Adamo” si sarà abituato gradualmente a non lavorare più. Ne “L’ideologia tedesca” Marx ed Engels scrivono che lo sviluppo produttivo capitalistico “è un presupposto pratico assolutamente necessario, anche perché senza di esso si generalizzerebbe soltanto la miseria, e quindi col bisogno […] ritornerebbe per forza tutta la vecchia merda” (la merda dell’economia, ovviamente). I due mostrano di ambire a qualcosa di diverso, qualcosa che superi il modello capitalistico, pur ammettendo che ciò dovrà avvenire nel momento opportuno. Entrambi hanno una concezione perfettistica del mondo, che ben si combina con il razionalismo costruttivista, in contrapposizione estrema con la cultura imperfettistica, la quale meglio si concilia con il razionalismo critico.
Per rispondere alla domanda dell’inizio: un mondo libero dall’economia può esistere solamente in una dimensione ideale, puramente utopistica. Si tratta pertanto di un “luogo che non esiste”. Non può esserci una società senza economia. Chiunque ambisca alla mèta di annientare il capitalismo per far uscire l’uomo dallo stato di necessità economica si fa sostenitore di un ideale elitistico ed aristocratico, antieconomico e antiborghese, il quale si sposa alla perfezione con la concezione austera e si contrappone alla concezione consumistica. In altre parole si potrebbe dire che la libertà signorile altro non è che amenità, oziosità; al contrario la libertà borghese è operosità, lavoro.
La libertà borghese è libertà per l’economia. La libertà signorile è libertà dall’economia. La prima fu cara a Smith, la seconda a Marx e a Keynes. Tuttavia Keynes passa alla storia per essere un liberale non meno di Smith. Ma si tratta di un errore, quantomeno sul piano della teoria economica.
Per concludere possiamo affermare che tende alla realizzazione del paradiso la cultura perfettistica, austera, signorile e, può sembrare paradossale, socialistica; invece ha i piedi fermamente ancorati a terra la cultura imperfettistica, consumistica, borghese e liberistica.
Quirino De Rienzo