Nei discorsi sulla Libia l’attenzione dei più è rivolta, in maniera prevalente, alla questione migrazioni. Il rischio di tralasciare altre problematiche, non meno rilevanti, è concreto. Per l’Italia la partita libica è di fondamentale importanza, come dichiarato del ministro dell’Interno Alfano in una recente intervista al Financial Times incentrata su terrorismo e immigrazione.
Sulla stessa linea si è schierato il premier Matteo Renzi, consapevole a pieno della posta in gioco. Tuttavia permangono le remore a suggerire, con voce alta, oppure a intraprendere, con il consenso degli alleati, iniziative pratiche. Nonostante l’accreditamento ufficiale da parte degli U.S.A. attraverso il riconoscimento di Stato europeo guida nelle possibili operazioni militari e di intelligence future, la posizione del governo rimane incerta e indefinita. Il presidente del Consiglio, sempre accorto ai sondaggi, conosce bene le preferenze dei suoi connazionali. Una soluzione che preveda l’impiego consistente di forze italiane sul terreno libico, eventualmente in affiancamento a milizie locali riconducibili al governo riconosciuto dalla comunità internazionale, sarebbe osteggiata non solo dalle opposizioni ma anche da larga parte dei propri sostenitori. Perciò al momento è meglio tentennare. Difficile prevedere quanto questa situazione di stallo possa durare perché, oltre alle emergenze dei flussi migratori, sono presenti e pressanti altre questioni.
La salvaguardia degli interessi energetici nazionali è prioritaria. L’Italia, solo nel 2014, ha acquistato dalla Libia il 6,7% del petrolio totale importato. Inoltre il Paese nord-africano era, nel 2013, il terzo partner commerciale nell’importazione di gas naturale. Da aggiungere gli interessi aziendali dell’Eni su quei territori. In questo quadro risulta evidente come il corso degli eventi in Libia avrà impatto sulle dinamiche interne italiane parallelamente allo sviluppo dei rapporti tra l’Occidente e il Cremlino. Saranno proprio i due scenari, quello libico e quello russo, a determinare le future grandi strategie politiche ed economiche di molti Stati dell’Unione europea. Tra essi l’Italia rischia di subire l’influenza maggiore a causa della posizione geografica e dei legami commerciali esistenti. La Russia, con il 45,3% sul totale importato, rappresenta per l’Italia il primo Paese esportatore di gas naturale e nel 2014 risultava anche al primo posto tra gli esportatori di petrolio. Le tensioni riguardo alla questione ucraina e le mosse di Putin in Crimea hanno allertato gli Stati Uniti, provocando come reazione l’inizio di una strategia di isolamento nei confronti del gigante ruteno. Così facendo le relazioni, già altalenanti, si sono ulteriormente deteriorate. Altrettanto impegnativo si prefigura il fronte libico. L’avanzata dell’Isis sta comportando un calo considerevole delle esportazioni di gas e petrolio a causa dei sabotaggi compiuti dai combattenti jihadisti ai danni degli impianti di estrazione e delle reti di trasporto rimaste in funzione dopo la caduta del vecchio regime. Questo atteggiamento ha avuto la conseguenza immediata di ridurre le entrate di bilancio della National Oil Corporation che, insieme alla Banca Centrale Libica, titolare di rilevanti interessi economici anche in Unicredit e Finmeccanica, costituisce il forziere d’oro della Libia attuale. Non meno gravoso l’impatto sui Paesi importatori. L’unica possibilità di riassestamento dello Stato libico consiste nella stabilizzazione politica attraverso la costituzione di un governo condiviso e riconosciuto in modo da rendere possibile anche lo svolgimento sicuro delle attività economiche.
Osservando i cambiamenti internazionali e l’andamento recessivo dell’economia nazionale, i governi italiani degli ultimi cinque anni hanno insistito affinché fossero adottate, con voto del parlamento, misure legislative favorevoli alla ricerca e alla susseguente estrazione di combustibili fossili dal sottosuolo con il fine di aumentare la produzione domestica per ridurre la dipendenza estera. La preoccupazione per l’instabilità di particolari scenari geopolitici ha costituito il fattore esogeno determinante di tale decisione. Il piano energetico nazionale contiene, tra gli obiettivi, la riduzione dei costi al consumo. I benefici per lo Stato e per le sue articolazioni consistono, invece, in nuove entrate di bilancio derivanti dalla tassazione sulle attività estrattive e produttive. Inoltre, un grande Paese industriale come l’Italia, con un’economia importante e con uno Stato sociale esteso, necessita di risorse energetiche certe e sempre disponibili. Sebbene i miglioramenti delle tecnologie utilizzate siano stati enormi, le fonti alternative non danno ancora garanzie assolute di copertura per ogni periodo dell’anno. Come è evidente non siamo soltanto di fronte all’esigenza del governo di fare cassa e alla volontà delle aziende del settore di realizzare profitti, peraltro entrambe legittime. In questa fase la necessità dell’approvvigionamento delle risorse energetiche è preponderante. Un’alternativa al programma volto a favorire la sostenibilità interna per far fronte al fabbisogno della popolazione potrebbe essere trovata con facilità ma comporterebbe costi, non solo economici, più alti. Se dovessero saltare definitivamente gli accordi commerciali siglati negli anni scorsi con la Libia e con la Russia, emergerebbe la necessità di dover negoziare contratti sostitutivi con altri Paesi produttori di gas e petrolio, difficilmente formalizzabili alle stesse condizioni dei precedenti.
Alla fine, più che il governo nazionale e il parlamento, più che i referendum, più che i comitati, più che le inchieste giudiziarie della magistratura, più che i governi regionali, saranno gli sviluppi degli avvenimenti in determinati scenari globali a orientare il corso degli eventi in Italia e a definire, nell’immediato futuro, i programmi e le politiche energetiche nazionali. Questa, che oggi può sembrare una semplice riflessione, potrebbe presto diventare un’inevitabile constatazione.
Quirino De Rienzo
(pubblicato giovedì 21 aprile 2016 su “il Quotidiano del Sud”)